Con la scapece di pesce molisana, che ho preparato per la Giornata Nazionale del Carpione del Calendario del Cibo Italiano, facciamo un salto nella cucina costiera del medio Adriatico.
Con il termine ‘scapece’ ci si riferisce ad un particolare metodo di conservazione basato sull’uso dell’aceto.
Le origini sul nome sono controverse, alcuni suppongono che il termine “alla scapece”, derivi dall ‘arabo sikbag, indicante un piatto tipico persiano con sugo di carne,aceto ed altri ingredienti. Nel Medioevo il termine si trasformò in “schibeze”, “schinbeci” e “sclubentiam” e la preparazione con gli arabi venne introdotta in Sicilia.
L’arrivo di Federico II di Svevia e il tentativo di integrare la cultura araba con quella siciliana ebbe conseguenze anche in campo gastronomico. Troviamo informazioni molto interessanti al riguardo nel libro di Anna Martellotti ‘I ricettari di Federico II. Dal “Meridionale” al “Liber de coquina”. La studiosa riporta che, nel dicembre del 1239, l’imperatore ordinò al cuoco Berardo di preparare «askipeciam et gelatinam» utilizzando il pesce «de Resina», cioè del lago di Lesina e «askipeciam et gelatinam» sono proprio due conservazioni del pesce fritto sotto aceto e gelatina lungamente descritte nel trattato culinario a lui attribuito ‘ Il Meridionale’, appunto.
Anche gli Spagnoli presumibilmente conobbero la tecnica durante la dominazione araba, la perfezionarono nel tempo dando vita poi all’ escabeche.
Secondo altri studiosi il termine escabeche ha radici latine e risalirebbe ad Apicio, l’autore di “De re coquinaria” uno dei primi ricettari di cucina a noi pervenuti. Apicio, infatti stanco di tutti i piatti della cucina romana, a base di “garum” o di “liquamen” , mise a punto una salsa a base di aceto e aglio che usava in alcune ricette, che si diffusero poi con il nome di “esca apicium”, cioè letteralmente “pietanza di Apicio”.
Sceglietevi voi la tesi più convincente, rimane indubbio che stiamo parlando di una tecnica antichissima, messa a punto quando non esistevano metodi di refrigerazione.
Nel territorio abruzzese-molisano con questo termine si intende una marinata a base di aceto e zafferano nella quale vengono conservati i pesci una volta fritti. E’ un piatto che veniva sicuramente preparato dei marinai a bordo delle loro imbarcazioni e molto diffuso nelle regioni meridionali. Si notano subito infatti elementi in comune con la marinata della scapece salentina (aceto e zafferano). La differenza fondamentale sta nel tipo di pesce utilizzato perché nella ricetta abruzzese-molisana invece del pesce azzurro troviamo razza o palombo, più raramente seppie e calamari.
Il pesce fresco viene pulito, eviscerato e tagliato a tranci, infarinati e poi fritti in olio extravergine di oliva per 10-15 minuti. Dopo circa un’ora viene immerso in una miscela fatta di aceto, zafferano e altri aromi che dona il caratteristico colore dorato al tutto.
Andando nello specifico per quanto riguarda la costa abruzzese la scapece per antonomasia è quella vastese, dove si aggiungono anche cipolla e una spruzzata di Trebbiano d’Abruzzo su ogni strato di pesce con una marinatura che dura almeno una settimana.
Nel Molise, un tempo diffusa anche nell’entroterra, preparata oggi da pochi produttori ‘scapeciari’ a Montenero di Bisaccia e Termoli la scapece che si trova prevalentemente nei mercati nelle fiere e sagre della zona, sta quasi diventando un prodotto di nicchia.
La ricetta di scapece che vi propongo è naturalmente quella molisana (per ovvie ragioni coniugali).
Scapece molisana
Ingredienti
1 kg di razza o palombo
farina di semola q.b.
olio per friggere
2 bustine di zafferano
1 litro di aceto di vino bianco
sale q.b.
Spellare,eviscerare e lavare la razza (o il palombo), tagliarla a pezzi di circa 5 cm. Tamponarla, infarinarla e friggerla in abbondante olio fin quando non risulta dorata. Scolare e far asciugare su carta assorbente dall’unto eccessivo. Salare leggermente.
In un pentolino scaldare l’aceto con lo zafferano ed un pizzico di sale fin quando non raggiunge l’ebollizione. Una volta caldo ma non bollente il liquido va versato sul pesce, che va disposto a strati su una terrina in coccio o vetro, terminando con la spruzzata finale.
Conservare in frigorifero per alcuni giorni prima di gustarla, ben scolata dal liquido di governo e, volendo, accompagnata da sottoli.
A Termoli però si prepara anche la scapece di licette (alicette), un gustosissimo antipasto con protagonista stavolta il pesce azzurro.
Sempre per mantenere il quieto vivere coniugale non potevo esimermi dal prepararle.
Le note caratteristiche della ricetta sono in questo caso aglio, salvia ed aceto naturalmente.
Scapece di licette
500 g di alici piccolissime
100 g di farina di grano duro o semola
Aceto di vino bianco 1 bicchiere
Acqua 2 bicchieri
Olio extravergine d’oliva
2 spicchio di aglio
Salvia
Olio extra vergine di oliva
Sale q.b.
Le alicette ideali sono quelle piccolissime che si trovano in primavera e si mangiano intere, si possono utilizzare anche quelle più grandine, come nel mio caso, per preparare la scpaece tutto l’anno.
Lavare delicatamente le alicette (se sono quelle più grandi eviscerarle), sgocciolarle, tamponarle ed infarinarle.
Friggere in abbondante olio, una volta dorate scolarle, sistemarle in una ciotola di vetro o in coccio, cospargendo i vari strati con aglio tritato e foglioline di salvia.
In un pentolino scaldare aceto, acqua, un pizzico di sale. Questo liquido, caldo ma non bollente va versato sulle alicette.
Far riposare almeno 24 ore, meglio se 2/3 giorni prima di consumarle.
interessante….la razza in scapece non la conoscevo proprio!! però sapevo dell’uso dello zafferano tra molise abruzzo e puglia, feci una versione “creativa” dello scapece alla gallipolina, molto divertente 🙂
La cucina molisana in effetti non è molto nota ed alcuni piatti poi come questa razza lo sono ancor meno. Anche io l’ho scoperta in questa occasione ma mi riprometto di scovarla sul posto quest’estate!
Per non parlare delle alici e del baccalà preparati così, sono stupendi e richiedono pane buono in abbondanza, la razza mai fatta ci proverò, in Molise sono stata, cioè a Campobasso però mi sono rimpinzata di pizza minestra che rifaccio regolarmente, hanno una buona cucina…saluti
Da noi in piemonte si fa il carpione, praticamente lo scapece del nord, cambia il nome ma non il procedimento che a me piace tantissimo! Noi, per tradizione, non avendo ovviamente il mare ma laghi e fiumi, facciamo anguilla e trota, oltre alle verdure e la cotoletta impanata, ma sai che voglia mi hai fatto venire? però non h voglia di intridere la casa di quell’odore tremendo per cui verrei a mangiare da te, visto che è già bello e pronto 🙂
Ti aspetto!